Il ritorno a Gerusalemme della vera croce di Miguel Ximenez e Martin Bernat
Bisanzio
Storia, Arte e Architettura dell'Impero romano d'Oriente. Lineamenti di storia, arte e architettura degli stati latini d'Oltremare e dei possedimenti della Serenissima.
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domenica 24 marzo 2024
Il ritorno a Gerusalemme della vera croce di Miguel Ximenez e Martin Bernat
sabato 9 marzo 2024
Niceforo II Foca (963-969)
Niceforo II Foca (963-969)
Nato intorno al 912 in una famiglia di antiche tradizioni militari – sia il padre Barda, sia il nonno Niceforo raggiunsero il grado di Domestikos delle Scholae - fu avviato giovanissimo alla carriera militare. Nel 945, durante il regno di Costantino VII, diviene strategos del thema degli Anatolici, carica che di solito preludeva alla nomina a comandante in capo dell'esercito. Nel 954, infatti, subentra al padre Barda – che era stato ripetutamente sconfitto dagli arabi - al comando dell'esercito di Bisanzio e passa all'offensiva contro gli arabi dell'emirato di Aleppo.
Nel 959 l'imperatore Romano II sdoppia il comando supremo militare affiancando a Niceforo il giovane fratello Leone Foca come Domestikos delle Scholae occidentali.
Oltre ad essere un grande soldato, Niceforo era un asceta – da giovane voleva farsi monaco e dormiva in terra – e un fanatico religioso (chiese alle autorità religiose, senza ottenerlo, che tutti i suoi soldati morti combattendo contro i musulmani fossero proclamati martiri della fede) che sognava la riconquista delle perdute provincie dell'Asia minore. Zimisce fu inviato sul fronte orientale con l'incarico di prendere Adana che cadde e fu rasa al suolo prima della fine dell'anno. L'anno seguente Niceforo guidò la campagna in prima persona e prese Mopsuestia e Tarso completando la riconquista della Cilicia che era in mano agli Arabi dal VII secolo. Sempre nel 964, una spedizione guidata da uno dei suoi generali, Niceta Chalkoutzis, riportò anche l'isola di Cipro nell'orbita imperiale.
Dopo la conquista della Cilicia, l'imperatore, per ragioni non del tutto chiare, perse del tutto la fiducia in Giovanni Zimisce che rimosse da tutte le cariche e confinò nei suoi possedimenti lontano dalla capitale.
Oltre che per le conquiste territoriali Niceforo Foca è ricordato anche per le sue fondazioni ecclesiastiche. Tra queste anche quella della Gran Lavra, il più antico monastero athonita. Dopo la conquista di Creta, Niceforo destinò parte del bottino di guerra alla fondazione del monastero ad opera del monaco Atanasio – a cui in seguito fu dedicato il katholikon – di cui era stato allievo e che lo aveva accompagnato nell'impresa.
Note:
(1) Figlio illegittimo dell'imperatore Romano I Lecapeno e di una sua concubina (forse una schiava di origini bulgare), Basilio Lecapeno era nato tra il 910 e il 920 e fu probabilmente castrato per ragioni politiche già in età infantile. Legatissimo alla sorellastra Elena – moglie di Costantino VII – durante il colpo di stato dei suoi fratellastri (944) si schierò dalla parte del cognato ricevendone in cambio titoli e cariche, tra cui quella di megas baioulos, cioè responsabile dell’educazione dell’erede al trono (nella fattispecie, del giovane figlio di Costantino ed Elena, Romano). Nel 947 divenne parakoimomenos, che letteralmente indicava “l’incaricato di proteggere il sonno dell’imperatore”, ma che in realtà all'epoca, dato il rapporto di prossimità con l'imperatore che implicava, era assimilabile a quella di gran ciambellano. Sostituito nella carica con Giuseppe Bringas da Romano II, appoggiò il colpo di stato di Niceforo mettendogli a disposizione tremila uomini armati da lui assoldati.
(2) Petrus era un eunuco al servizio dei Foca che, adottato dal fratello dell'imperatore Leone Foca, intraprese la carriera militare. La carica di "Statopedarca" fu inventata ad hoc giacchè, in quanto eunuco, non poteva accedere a quella di Domestikos delle Scholae.
martedì 27 febbraio 2024
La chiesa di Niceforo a Cavusin, Cappadocia
La chiesa di Niceforo a Cavusin, Cappadocia
La cosiddetta chiesa di Niceforo (1) è una chiesa rupestre che si trova nel villaggio di Cavusin, a pochi chilometri da Goreme, in Cappadocia. Fu costruita e decorata durante il regno di Niceforo II Foca, probabilmente nel 963-964, per volontà di donatori locali che intendevano celebrare l'imperatore originario di queste terre. Non è nota la dedicazione originaria della chiesa ma potrebbe essere stata dedicata ai Tassiarchi, che ricorrono a più riprese nelle decorazioni parietali. Presenta una pianta trapezoidale a navata unica, sopravanzata da un nartece la cui parte occidentale è completamente crollata lasciando a vista un affresco che raffigura appunto gli arcangeli Michele e Gabriele.
All'interno, nell'absidiola di sinistra è ritratta la famiglia imperiale con al centro Niceforo II e, alla sua destra la moglie Teofano con un'altra figura femminile (forse la moglie del fratello dell'imperatore, Leone) mentre alla sinistra dell'imperatore si dispongono il padre Barda e il fratello Leone.
Nel riquadro soprastante l'absidiola è raffigurato un episodio veterotestamentario poco consueto: l'apparizione dell'arcangelo Michele a Giosuè sotto le mura di Gerico (2), a simboleggiare che il mandato divino concesso a Giosuè è adesso rinnovato all'imperatore che conduce i suoi eserciti alla riconquista della Terrasanta. Il condottiero israelita è raffigurato due volte, una in piedi e l'altra nel momento in cui s'inginocchia.
Il corteo è preceduto da due cavalieri, in cui Jerphanion identifica i due donatori.
Entrambi i cavalieri indossano il klibanion (la corazza a lamelle di cuoio) e sotto una cotta di maglia (lorikion) mentre impugnano una lancia lunga secondo l'uso della cavalleria pesante (catafratti) dell'esercito bizantino. Il secondo è identificato dall'iscrizione come Magister Melias (magister era un grado dell'esercito bizantino) (3). Per il primo, nel cui caso l'iscrizione è ormai illeggibile, avanza l'ipotesi che possa invece trattarsi di Giovanni Zimisce, che all'epoca era ancora il fidato braccio destro dell'imperatore. Jerphanion ipotizza inoltre che l'affresco possa essere stato commissionato per celebrare la nomina di Zimisce a Domestikos delle Scholae orientali. La raffigurazione del loro comandante alla testa dei Quaranta Martiri avrebbe avuto anche lo scopo di rafforzare nelle truppe il richiamo alla guerra santa contro i musulmani proclamata da Niceforo.
Note:
(1) La chiesa è nota anche come “chiesa colombaia”, giacchè a questo uso venne adibita in epoca ottomana.
(2) Mentre Giosuè era presso Gerico, alzò gli occhi ed ecco, vide un uomo in piedi davanti a sé che aveva in mano una spada sguainata. Giosuè si diresse verso di lui e gli chiese: «Tu sei per noi o per i nostri avversari?». Rispose: «No, io sono il capo dell'esercito del Signore. Giungo proprio ora». Allora Giosuè cadde con la faccia a terra, si prostrò e gli disse: «Che dice il mio signore al suo servo?». Rispose il capo dell'esercito del Signore a Giosuè: «Togliti i sandali dai tuoi piedi, perché il luogo sul quale tu stai è santo». Giosuè così fece. (Giosuè, V, 13-15)
(3) Secondo la tradizione Melias o Meliton sarebbe anche il nome del più giovane dei martiri di Sebastea nonché quello di un generale di origini armene dell'epoca di Niceforo e Zimisce, ma non sarebbe inusuale che un personaggio storico con lo stesso nome di un santo rappresenti allo stesso tempo se stesso e il santo di cui porta il nome.
Narrativa moderna e contemporanea:
Il romanzo ripercorre le tappe della carriera di Giovanni Zimisce, brillante esponente dell'aristocrazia militare anatolica – era imparentato con le potenti famiglie dei Curcuas, dei Foca e degli Sclera - che culminò con la sua ascesa al trono imperiale. La spettacolare riconquista bizantina della Cilicia, della Siria occidentale e della Palestina settentrionale, intrapresa da Niceforo II Foca e dallo stesso Zimisce – che, nella seconda metà del X secolo, condusse le armi di Bisanzio in vista di Gerusalemme, è narrata con accuratezza storica, così come gli intrighi di corte che favorirono l'ascesa al trono dei due imperatori soldato al di fuori della linea dinastica macedone. Scarso il ricorso a personaggi di fantasia mentre quelli storici sono tratteggiati in maniera molto attendibile e convincente anche nei rapporti che intercorsero tra loro. Più fantasiose le descrizioni dei luoghi.
venerdì 17 novembre 2023
L'imperatore Alessandro (912-913)
L'imperatore Alessandro (912-913)
Le principali fonti primarie che narrano gli eventi succedutisi durante i suo breve regno sono essenzialmente la Cronaca del Logoteta, opera di uno storico e poeta bizantino vissuto nel X secolo e la Cronaca di Psamathia, un testo agiografico dedicato al patriarca Eutimio (907-912) – è noto infatti anche come Vita di Eutimio - scritto da un anonimo monaco del monastero di Psamathia – dove il patriarca era stato igumeno - tra il 920 ed il 925 e sono entrambe decisamente ostili all'imperatore.
Sul letto di morte, notandolo tra gli astanti, Leone avrebbe pronunciato la frase: “Eccolo qua, tredici mesi di malora!”, profetizzando l'effettiva durata che avrebbe avuto il regno del fratello.
Minato nel fisico da una vita di eccessi, divenne anche impotente. Nel tentativo di risolvere il problema si rivolse a dei maghi che lo convinsero che la statua di un cinghiale che si trovava all'Ippodromo era il suo doppio e che le loro esistenze erano strettamente connesse l'una all'altra (con ciò sottintendendo che conduceva una vita da maiale) e che avrebbe dovuto provvedere la statua dei denti e del sesso che gli mancavano. Ciò fatto, l'imperatore indisse anche delle corse in onore della statua e prelevò dalle chiese candelabri ed altri arredi per decorare l'Ippodromo suscitando scandalo.
Per quanto attiene la politica estera, le fonti primarie imputano alla sua dissennatezza (2) la responsabilità di aver creato i presupposti per la ripresa del rovinoso conflitto con i bulgari. Alessandro si sarebbe rifiutato di pagare il tributo annuale concordato dal suo predecessore e avrebbe scacciato in malo modo l'ambasceria inviata da Simeone di Bulgaria. E' però probabile che Simeone non chiedesse soltanto il rispetto degli accordi presi ma pretendesse qualcosa di più – come il titolo di imperatore (tzar) dei Bulgari che gli verrà concesso in seguito – e che Alessandro non fu disposto a concedergli.
Sulle circostanze della sua morte esistono due versioni. Secondo la prima, riportata dalla cronaca di Simeone Logoteta (X sec.), Alessandro, dopo un lauto pranzo abbondantemente innaffiato di vino, nonostante il caldo, volle recarsi a giocare a polo nello tzycanisterion che si trovava all'interno del Sacro Palazzo e qui ebbe un colpo apoplettico a seguito del quale morì due giorni dopo, il 6 giugno 913. La Vita di Eutimio colloca invece la scena nel palco imperiale dell'Ippodromo dove l'imperatore, mentre commetteva gli atti sacrileghi sopra descritti, si sarebbe accasciato al suolo colpito dall'ira del Signore e condotto moribondo a Palazzo. Le sue esequie furono condotte in maniera sciatta e sbrigativa – il cadavere cadde fuori dalla bara e ne emanò un gran fetore – mentre l'aristocrazia non partecipò al corteo funebre che fu seguito solo da popolani. Prima di morire Alessandro nominò il Consiglio di reggenza che avrebbe governato durante la minore età del nipote Costantino e vi pose a capo il patriarca Nicola Mystikos.
Di lui resta un magnifico ritratto a figura intera nella chiesa di Santa Sofia, sia pure in una collocazione piuttosto appartata, analizzato nei dettagli qui.
Note:
(1) Michele III aveva fatto sposare la sua amante Eudocia Ingerina al suo parakoimomenos Basilio per poterla avere comodamente a disposizione a Palazzo senza destare scandalo. Essendo Alessandro l'unico dei tre figli maschi di Basilio ed Eudocia ad essere nato dopo la morte di Michele III (867) era anche l'unico ad essere sicuramente figlio di Basilio.
(2) La Cronaca del logoteta parla di “insensata follia” dell'imperatore.
sabato 28 ottobre 2023
La profezia incisa sul sarcofago di Costantino il grande
La profezia incisa sul sarcofago di Costantino il grande
Non pochi manoscritti, a partire dal XV secolo, riportano un crittogramma che sarebbe stato inciso sul sarcofago di Costantino il grande e la sua interpretazione che sarebbe stata opera di Gennadio Scholario.
Nella prima indizione, il regno di Ismaele chiamato Mohammed sconfiggerà la stirpe dei Paleologi e conquisterà la città dei sette colli (Heptapholos= Costantinopoli) e regnerà su essa: impererà su molti popoli, devasterà le isole fino al Ponto Eusino, compirà distruzioni alle foci dell'Istro (il Danubio). Nell'ottava indizione sottometterà il Peloponneso. Nella nona indizione farà una campagna nelle regioni settentrionali. Nella decima indizione sconfiggerà i Dalmati e ritornerà di nuovo dopo qualche tempo per fare una grande guerra contro i dalmati e in parte li distruggerà.
“Fermatevi, fermatevi, e con timore affrettatevi verso l'area sulla destra [e] troverete un uomo coraggioso, mirabile e robusto. Costui avrete come vostro capo perché lui è il mio diletto; scegliendolo compirete la mia volontà”.
Gennadio Scholario, all'epoca patriarca di Costantinopoli (1), di cui era peraltro nota la tendenza ad interpretare profeticamente gli avvenimenti del suo tempo, è presumibilmente chiamato in causa per avvalorare l'autenticità del documento.
giovedì 12 ottobre 2023
Gli ultimi anni dell'impero d'Occidente (455-476)
Gli ultimi anni dell'impero d'Occidente (455-476)
Ricimero (405-472): Di padre svevo e madre visigota, nacque intorno al 405 e trascorse la sua giovinezza alla corte dell'imperatore romano d'Occidente Valentiniano III, dove si distinse combattendo assieme a Maggioriano – di cui divenne amico fraterno – agli ordini del magister militum Ezio. Fu il vero uomo forte dell'impero d'Occidente nell'ultimo ventennio della sua esistenza.
Dopo gli assassinii di Ezio (454) e di Valentiniano III (455), Petronio Massimo, membro di una delle più illustri famiglie dell'aristocrazia romana – la gens Anicia – che non era estraneo a nessuno dei due omicidi, forte dell'appoggio del Senato ed elargendo denaro agli alti funzionari di palazzo, riuscì a farsi proclamare imperatore, nonostante la vedova di Valentiniano, l'augusta Licinia Eudossia, gli preferisse Maggioriano che era subentrato ad Ezio al comando dell'esercito.
Petronio Massimo (17 marzo 455-31 maggio 455): per consolidare la sua posizione costrinse l'augusta a non rispettare il lutto ed a sposarlo. Elevò il figlio avuto dalla prima moglie, Palladio, al rango di cesare e gli diede in moglie Eudocia, una delle figlie dell'augusta. Licinia Eudossia pensò bene di appellarsi Genserico, il re dei Vandali, al cui figlio Unerico, Eudocia era stata promessa in sposa da Valentiniano. Organizzata la spedizione, Genserico salpò da Cartagine e sbarcò a Porto dove pose il suo campo. I militari in stanza nella capitale capirono che la città era persa e si ammutinarono. L’imperatore tentò la fuga ma rimase ucciso, probabilmente in una sommossa che coinvolse anche la popolazione locale. Così i Vandali poterono entrare in città senza incontrare resistenza. L'unica personalità che tentò di opporsi alla devastazione fu papa Leone Magno, che trattò con Genserico. Il papa lasciò ai Vandali la possibilità di spogliare la città dei suoi averi, ma in cambio non avrebbero dovuto infierire sulla popolazione inerme. Ma i Vandali rispettarono l'accordo solo in parte. Molti membri dell’aristocrazia senatoria vennero fatti prigionieri, per poi chiedere un riscatto. Inoltre, molti artigiani vennero condotti, in schiavitù, a Cartagine. Genserico, rientrando a Cartagine, si portò appresso anche l'augusta e le sue due figlie, Placidia e Eudocia.
Avito si trovò a dover fronteggiare l'intraprendenza della flotta vandala che spadroneggiava nelle acque del Mediterraneo compiendo incursioni nei possedimenti romani e rendendo difficile l'afflusso di derrate nella capitale. Recimero riuscì a sconfiggere la flotta vandala al largo della Corsica e battè il loro esercito nei pressi di Agrigento. Nel frattempo la scarsità di viveri, aggravata dalla necessità di sfamare le truppe che 'imperatore si era portato dietro, e l'ampia distribuzione di cariche pubbliche e prebende a cittadini gallo-romani, aveva reso Avito alquanto impopolare nella capitale. Oltracciò, rimasto a corto di liquidità, era stato costretto a congedare il contingente goto. Forti della popolarità derivatagli dalle vittorie contro i Goti, Ricimero e Maggioriano, che comandava la guardia imperiale, insorsero e costrinsero Avito a fuggire verso il nord. Ricimero lo fece destituire dal Senato e fece assassinare a Ravenna il magister militum Remisto (17 settembre 456).
Volse quindi la sua attenzione alle Gallie dove i sostenitori di Avito avevano dato luogo ad una rivolta capeggiata da un certo Marcello. Inviò quindi Egidio, insignito del titolo di magister militum per Galliam, che liberò Lione e la regione circostante ed entrò ad Arelate dove fu assediato dai Visigoti. L'imperatore stesso, affiancato dal generale Nepoziano, il magister militum praesentalis, guidò l'esercito che ruppe l'assedio e sbaragliò i Visigoti ristabilendo il controllo imperiale sulla Gallia meridionale. Per la prima volta dopo più di mezzo secolo un imperatore occidentale si era fatto carico di organizzare un esercito e di condurlo personalmente in battaglia.
Maggioriano riuscì anche a convincere il potente governatore dell'Illirico, Marcellino, che, potendo contare su un forte esercito, si era reso di fatto semindipendente dal governo centrale a partire dalla morte di Ezio, a riconoscere nuovamente l'autorità imperiale e a collaborare alla difesa dei suoi territori.
L'imperatore mise quindi mano ai preparativi per la riconquista della provincia d'Africa. Nel 459 mosse con il grosso dell'esercito dalla Liguria e penetrò nella Spagna occupata dai Visigoti mentre Nepoziano e Sunierico sconfiggevano i Suebi a Lucus Augusti e conquistavano Scallabis in Lusitania.
Nel mese di maggio del 461 Maggioriano raggiunse la provincia Cartaginense, dove aveva allestito la flotta con cui intendeva riconquistare l'Africa. Tuttavia i Vandali, avvertiti da traditori dei preparativi dell'imperatore e dell'ubicazione della flotta romana, con un attacco repentino, riuscirono a catturare le navi romane, mandando a monte i piani dell'imperatore che fu costretto ad annullare la spedizione e a negoziare una pace onerosa.
Rientrato ad Arelate, Maggioriano congedò l'esercito che non poteva più stipendiare e prese la via dell'Italia accompagnato solo dalla sua guardia personale.
Nel frattempo Ricimero, che l'imperatore non aveva mai voluto a fianco nelle sue campagne militari, rimasto a Ravenna aveva coagulato attorno a sé l'opposizione. Le riforme introdotte da Maggioriano avevano infatti ridotto i privilegi del clero e favorito l'aristocrazia provinciale rispetto a quella italica e senatoriale. Ricimero lo raggiunse a Tortona, nei pressi di Piacenza, lo fece arrestare e deporre e, dopo averlo torturato per cinque giorni, lo fece decapitare (7 agosto 461).
Per accattivarsi l'appoggio del clero, abrogò le leggi di Maggioriano che ne avevano limitato i privilegi e varò altri provvedimenti a favore dell'aristocrazia italica.
Severo nominò Agrippino – un uomo di Ricimero – magister militum per Gallias e per ottenere l'appoggio dei Visigoti concesse loro la città di Narbona (462), dandogli così accesso al Mediterraneo e separando i territori controllati da Egidio da quelli del resto dell'impero. Durante tutto il suo regno, Severo dovette fronteggiare anche le scorrerie dei Vandali in Sicilia e nel meridione, che Genserico intensificò in risposta alla mancata elezione al soglio imperiale del suo candidato Anicio Olibrio (2).
Libio Severo morì molto probabilmente di morte naturale nell'autunno del 465.
Nel 453 Procopio Antemio aveva sposato Elia Marcia Eufemia, figlia dell'imperatore Marciano (450-457), ed era stato elevato al rango di patrizio. Nel 454 ricoprì la carica di magister militum per Orientem (4) e l'anno successivo ottenne il consolato. Antemio mantenne la carica di magister militum anche sotto il successore del suocero, Leone I, e nel 460 ottenne un'importante vittoria in Illirico contro gli Ostrogoti. Nel 466 sconfisse gli unni di Hormidac che avevano attraversato la frontiera danubiana e invaso la Dacia.
Antemio raggiunse l'Italia e Roma nella primavera del 467, accompagnato da un esercito comandato dal magister militum per Illyricum Marcellino e fu proclamato imperatore in una località tra il terzo e l'ottavo miglio da Roma, il 12 aprile, primo imperatore greco dopo Giuliano. Stabilitosi a Roma, l'imperatore strinse con con Ricimero un'alleanza matrimoniale, dandogli in sposa la figlia Alipia. Nel 471, il matrimonio del figlio Flavio Marciano (5) con la figlia di Leone I - Leonzia – rafforzò inoltre i suoi legami con la casa regnante d'Oriente.
Nel 468 una flotta di oltre mille navi che trasportava una forza di sbarco di circa 100.000 uomini salpò da Costantinopoli alla volta di Cartagine al comando di Basilisco, cognato dell'imperatore. Nel frattempo Marcellino aveva attaccato la Sardegna e un terzo contingente, al comando del generale Eraclio di Edessa, era sbarcato sulle coste libiche.
La flotta imperiale, dopo alcune vittoriose scaramucce con la flotta vandala, gettò l'ancora davanti a Capo Bon, a circa 60 chilometri da Cartagine. Genserico chiese quindi cinque giorni di tempo per presentare le condizioni di pace. Nella notte fece invece lanciare moltissimi brulotti contro le navi imperiali prive di sorveglianza e dietro questi seguì l'attacco della flotta vandala. Gli imperiali persero gran parte delle navi e ripiegarono confusamente rinunciando allo sbarco. Dopo questo disastro Marcellino lasciò la Sardegna e passò in Sicilia, dove trovò la morte per mano di uno dei suoi capitani, forse istigato da Ricimero, mentre Eraclio si ritirò nella Tripolitania dove rimase attestato per due anni.
Persa la speranza di riconquistare le provincie africane, Antemio rivolse la sua attenzione alle Gallie.
L'impero controllava ormai soltanto le province meridionali mentre i visigoti di Eurico si erano incuneati separando da queste l'Alvernia, che era governata dal figlio di Avito, Ecdicio, e il cosiddetto Dominio di Siagro più a nord. Quest'ultimo dal 465 era governato appunto da Siagro, figlio di Egidio, uno dei luogotenenti di Maggioriano che non aveva riconosciuto Avito come imperatore.
Nel 471 l'imperatore inviò un esercito al comando del figlio Antemiolo non ancora ventenne, coadiuvato dai generali Torisario, Everdingo ed Ermiano in disaccordo fra loro e di scarsa affidabilità. Muovendo da Arelate Antemiolo passò il Rodano e fu sbaragliato da Eurico, trovando anche la morte in battaglia. Nel frattempo si era consumata la rottura definitiva con Ricimero. Nel 470, colpito da una grave malattia, Antemio era stato sul punto di morire.Tornato in salute, decise di colpire un personaggio vicino al gruppo di Ricimero, l’ex magister officiorum e patricius Romano. Costui fu considerato responsabile di trame volte all’eliminazione dell’imperatore; fu arrestato, condannato e giustiziato. La reazione di Ricimero fu molto dura. Lasciò Roma con il seguito di seimila soldati e con i suoi bucellarii, e si ritirò a Milano. L’Italia, in questo modo, si trovò divisa: sotto il controllo dell’imperatore legittimo le regioni del centro-sud; sotto il governo del magister militum barbarico il nord. Ricevuto l'aiuto dei Burgundi, il magister militum calò su Roma e la strinse d'assedio. La città e il Senato dell'urbe, per quanto divisi tra partigiani delle opposte fazioni, sostennero l'assedio per lunghi mesi.
Leone I inviò in Occidente Anicio Olibrio con la duplice missione di mettere pace tra Ricimero e Antemio e, poi, di trattare col re dei Vandali Genserico (il cui figlio aveva sposato la cognata di Olibrio, vedi sopra)); in realtà l'ambasciata era un modo di sbarazzarsi di Olibrio, che credeva in combutta coi Vandali, e di Ricimero: inviò infatti ad Antemio un secondo messaggero con l'ordine di uccidere Ricimero e Olibrio, ma il messaggio indirizzato all'imperatore d'Occidente cadde nelle mani del capo goto, che lo mostrò a Olibrio. Olibrio raggiunse il campo di Ricimero nell'aprile del 472 e fu proclamato imperatore. Nel frattempo le milizie di Ricimero avevano isolato Antemio e i suoi sostenitori nei palazzi imperiali del Palatino. Privi di rifornimenti, l'11 luglio questi tentarono una sortita disperata. L'imperatore cercò di trovare asilo nella basilica di San Crisogono ma fu raggiunto sul sagrato della chiesa e trucidato da Gundobaudo, figlio della sorella di Ricimero.
Anicio Olibrio (472): esponente di una prestigiosa famiglia senatoriale romana, si era trasferito a Costantinopoli dopo il sacco di Roma del 455. Grazie al matrimonio con Placidia (454), la figlia minore di Valentiniano III, era anche imparentato con la dinastia teodosiana. La sorella della moglie, inoltre, aveva sposato Unerico, il figlio di Genserico ed erede al trono dei Vandali. Nonostante le sue ascendenze non ebbe l'appoggio dell'aristocrazia romana – che si era in gran parte schierata con Antemio - né del popolo a causa del saccheggio compiuto dalle milizie di Ricimero alla cui testa Olibrio era entrato in città. Il mese successivo alla sua proclamazione, inoltre, morì Ricimero, il suo principale alleato, sostituito nel ruolo di magister militum dal nipote Gundobaudo che Olibrio elevò al rango di patrizio che era stato dello zio. Poco o niente è noto degli atti del suo governo che durò appena pochi mesi. Olibrio Anicio si ammalò infatti quasi subito di idropisia e morì tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre del 472. Dal matrimonio con Placidia ebbe una sola figlia femmina, Anicia Giuliana.
Durante il suo regno Glicerio respinse con le armi un tentativo d'invasione dell'Italia dei Visigoti di Eurico ma non riuscì ad impedire la caduta di Arelate e Marsiglia. Per via diplomatica riuscì invece a scongiurare la calata degli Ostrogoti del re Vidimero. Una sua legge contro la simonia, varata probabilmente per accattivarsi il favore del clero l'11 marzo 473, è anche l'ultima emanata da un imperatore d'Occidente di cui si abbia notizia.
La sua poco ortodossa proclamazione a imperatore e il sospetto che fosse poco più di una marionetta al servizio di Gundobaudo, convinsero Leone I a non riconoscerlo e a nominare imperatore d'Occidente il governatore della Dalmazia Giulio Nepote.
Giulio Nepote sbarcò ad Ostia nel giugno del 474 e assunse la porpora mentre Glicerio, abbandonato da Gundobaudo (7) al suo destino, si arrese senza combattere. Ebbe così salva la vita e fu nominato vescovo di Salona.
Salito al trono, Nepote nominò magister militum ed elevò al patriziato, Ecdicio Avito, il figlio del defunto imperatore. Afranio Siagrio, il figlio di Egidio che governava una enclave romana nel nord della Gallia nota come “Dominio di Siagrio” ormai separata dal resto dell'impero, riconobbe l'autorità di Nepote e fu nominato magister militum per Gallias. L'imperatore negoziò quindi un accordo con i Visigoti di Eurico che cedettero la Provenza – occupata durante il regno di Glicerio - in cambio della città di Clermont-Ferrand e della regione dell'Alvernia. Minor fortuna ebbe con i Vandali con i quali – non potendo sostenere la guerra da solo giacchè l'impero d'Oriente aveva firmato una pace separata nel 468 – fu costretto a firmare un trattato di pace in cui riconosceva il loro dominio sulle provincie africane, la Sardegna e le Baleari. La cessione dell'Alvernia inoltre gli inimicò la locale aristocrazia gallo-romana a cui apparteneva anche Ecdicio. Probabilmente per questa ragione l'imperatore lo sostituì al comando dell'esercito con Flavio Oreste, un generale di origini barbare.
Il 28 agosto 475 Flavio Oreste si ribellò all'Imperatore e, alla testa di un esercito che doveva essere forse inviato contro i visigoti, prese il controllo di Ravenna e costrinse Nepote a fuggire a Salona in Dalmazia. Dopo un'attesa di un paio di mesi, Oreste proclamò imperatore il figlio Romolo appena quattordicenne.
Romolo Augustolo (475-476): Figlio di Flavio Oreste e Flavia Serena, una donna di stirpe romana figlia del comes del Norico Romolo, fu proclamato imperatore dal padre che, essendo di origini barbare, non poteva ascendere al trono in prima persona, il 31 ottobre del 475. Romolo Augustolo non fu però riconosciuto dal collega d'Oriente, Zenone (8). Il potere de facto, inoltre, fu esercitato dal padre.
Nel 476 alcune truppe mercenarie composte da Eruli, Sciri e Turcilingi chiesero di ottenere delle terre in Italia, che Oreste però non concesse. Questi allora si rivoltarono sotto la guida del capo sciro Odoacre, eleggendolo re il 23 agosto. Oreste si rinchiuse Pavia, confidando nelle possenti fortificazioni della città, ma Odoacre prese la città e catturò Oreste che fece giustiziare a Piacenza. Dopo avere sconfitto e ucciso anche il fratello di Oreste, Paolo, entrò Ravenna e il 4 settembre 476 costrinse Romolo Augustolo ad abdicare (9).
Note:
(1) dopo poco tempo, evidentemente temendo per la propria vita, Avito tentò di fuggire in direzione di Arelate, ma venne presto raggiunto da Maggioriano, che assediò il santuario in cui il sovrano deposto si era rifugiato e dove dopo alcuni giorni trovò la morte.
(2) Il figlio di Genserico, Unerico, aveva sposato la figlia maggiore di Valentiniano III, Eudocia, mentre Anicio Olibrio ne aveva sposato la sorella minore, Placidia. Il sovrano vandalo avrebbe quindi gradito sul trono d'occidente un imperatore a cui era comunque legato da vincoli di parentela.
(3) A Flavio Antemio si deve l'edificazione delle mura dette teodosiane che furono erette durante la sua prefettura. Come tale è ricordato in un'epigrafe incisa sull'architarve della Porta Pempton che recita: “con una forte architrave rafforzò le mura della porta Puseo, che non fu meno grande di Antemio”
(4) A quell'epoca nell'esercito d'Oriente esistevano due gruppi di armate centrali (praesentalis) e quindi due magister militum, l'altro era il potente generale di origine alana Ardaburio Aspar.
(5) Dal matrimonio con Elia Marcia Eufemia nacquero cinque figli: Antemiolo, Flavio Marciano, Procopio Antemio, Romolo e Alipia
(6) Per contribuire al finanziamento della spedizione che ammontò a 7.408.000 solidi aurei, Antemio impiegò per buona parte il suo patrimonio personale.
(7) Al momento dello sbarco di Nepote, Gundobaudo – che pure avrebbe avuto le forze necessarie per contrastarlo – si era allontanato da Roma e si trovava nelle Gallie. Probabilmente il magister militum giudicò inutile e controproducente difendere un imperatore che non godeva del sostegno del suo collega orientale né dell'aristocrazia senatoriale.
(8) Romolo Augustolo fu riconosciuto da Basilisco che usurpò il trono d'Oriente per un breve periodo (9 gennaio 475-agosto 476)
(9) Forse in considerazione della giovane età, Odoacre risparmiò la vita all'imperatore deposto, confinandolo nel castellum lucullianum, una splendida villa napoletana del II secolo, i cui resti si trovano in parte sotto Castel dell'Ovo, e concedendogli un cospicuo appannaggio.
(10) Zenone rispose alla richiesta di Odoacre sostenendo che la nomina a patrizio spettava all'imperatore d'Occidente ancora in carica.
(11) Giulio Nepote fu assassinato nel palazzo fatto costruire da Diocleziano a Spalato (vicino Salona) dove risiedeva da due suoi alti ufficiali, i comes Ovida e Viatore, forse istigati dall'ex imperatore Glicerio che all'epoca era vescovo di Salona.
martedì 8 agosto 2023
Chiesa di San Giovanni Evangelista, Ravenna
Chiesa di San Giovanni Evangelista, Ravenna
Verso l’anno Mille venne costruito sulla destra della chiesa un monastero e la chiesa fu affidata ai monaci benedettini che vi si stabilirono.
La chiesa originaria era a tre navate ed era preceduta da nartece, poi inglobato – tra VIII e X secolo - dalle navate. Traccie dell’antico nartece si troverebbero nei grandi archi tamponati visibili sulle pareti nord e sud in prossimità della facciata. Tramite essi si accedeva probabilmente ad ambienti laterali annessi al nartece stesso, forse deputati ad assolvere la funzione dei pastoforia, non presenti al tempo della prima edificazione ma realizzati successivamente, durante l'episcopato di Mariniano (595-618).
Nel 1316 – grazie ad un generoso lascito testamentario - vennero apportate modifiche alla chiesa e al monastero inserendo elementi gotici di cui resta il portale con la strombatura ogivale. Fu anche costruito un quadriportico antistante alla basilica distrutto durante i bombardamenti della II guerra mondiale.
Nel 1459 la basilica fu affidata ai Canonici Regolari di San Salvatore.
Nel 1568 l'abate Teseo Aldrovandi fece ristrutturare e abbellire la chiesa. Molto probabilmente le ultime tracce dei mosaici di epoca placidiana furono distrutte durante i lavori di ampliamento del presbiterio voluti dall'abate. A questo scopo venne inoltre murato un arco su ogni lato della navata e nelle lunette l'abate commissionò a Roberto Longhi due affreschi raffiguranti rispettivamente Galla Placidia nella tempesta e il miracolo del sandalo.
Tra gli interventi principali – oltre alla già citata rimozione della tamponatura degli archi prossimi alll'abside - si annoverano: l’apertura della loggia al secondo livello dell’abside (prima tamponata), l'oscuramento della bifora rinascimentale di facciata, il rifacimento del soffitto, il recupero dei mosaici del piano pavimentale del 1213 (già scoperto parzialmente nel Settecento), il restauro degli affreschi della volta della cappella trecentesca (detta anche “giottesca”), la liberazione del corpo esterno della chiesa con l’abbattimento di alcuni fabbricati pertinenti l’ospedale insediato nell’Ottocento, il restauro del campanile.
All'interno la chiesa presenta attualmente una pianta a tre navate con abside poligonale all'esterno e circolare all'interno, traforato da sette monofore intervallate da colonnine di marmo.
Le navate sono scandite da due filari di 12 colonne di marmo proconnesio.
Nella navata sinistra, sono appesi alla parete i frammenti musivi che provengono dalla decorazione pavimentale ordinata dall’abate Guglielmo nel 1213, come emerge da una lacunosa iscrizione (2). Dieci di questi frammenti celebrano le gesta della quarta crociata e la nascita dell'impero latino di Costantinopoli. Il tema – del tutto inconsueto, anche perché i crociati furono inizialmente scomunicati da papa Innocenzo III per aver rivolto le armi contro altri cristiani – è svolto con estrema aderenza alla realtà storica (come nel pannello in cui si vedono i crociati addossare le scale alle mura marittime direttamente dalle navi come realmente avvenne), sì da originare un variegato ventaglio di ipotesi circa le ragioni che potrebbero aver spinto l'abate a questa rappresentazione apologetica (3).
All'incirca a metà della navata sinistra si apre poi una cappella di forma quadrata aperta nel XIV secolo. E' voltata a crociera e presenta affreschi di scuola giottesca che raffigurano Santi, Dottori della Chiesa (S.Girolamo, Sant'Ambrogio, Sant'Agostino e S.Gregorio), e gli Evangelisti con i loro simboli. Sull'altare un affresco della Maddalena che tende le braccia verso la croce.
Nella prima, in corrispondenza della cattedra, San Pietro Crisologo celebrante con l’angelo, sulla sinistra le figure di Arcadio e Eudossia, e sulla destra Teodosio II ed Eudocia.
Nella quarta fascia l’iscrizione:
SANCTO AC BEATISSIMO APOSTOLO IOHANNI EVANGELISTAE GALLA PLACIDIA AVGVSTA CVM FILIO SVO PLACIDO VANTINIANO AVGVSTO EF FIALIA SUA IVSTA GRATA HONORIA AVGVSTA LIBERATIONIS PERICVCVM MARIS VOTVM SOLVENT.
Dai peducci dell’arco partiva l’iscrizione:
Note:
(1) sacerdote di origini antiochene, si recò a Roma dove gli furono attribuiti diversi miracoli. Galla Placidia lo fece venire alla corte dio Ravenna dove divenne il suo padre spirituale.
(2) All’interno di un circolo un tempo visibile sul pavimento in mosaico della navata centrale, erano indicati sia il nome del committente che l’anno di esecuzione dell’intera opera: «Dnus Abbas Guilielmus hoc op [...] anno millesimo ducentesimo tertio decimo».
(3) Una esauriente disamina di queste ipotesi si trova in Gianantonio Tassinari, San Giovanni Evangelista e i mosaici della Quarta crociata. Considerazioni araldiche in Ravenna Studi e Ricerche, n. XXIV, 2018