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giovedì 28 agosto 2014

La chiesa rupestre di S.Margherita, Melfi

La chiesa rupestre di S.Margherita, Melfi
Ubicata presso il Cimitero comunale, km 1 della strada statale Melfi-Rapolla.
Visita accompagnata su prenotazione. Tel. 0972 239751 (Pro Loco)



L'organizzazione architettonica del santuario, interamente scavato nel tufo vulcanico, rimanda senz'altro ad un gusto occidentale: l'unica navata è divisa in due moduli coperti da crociere a sesto acuto con le creste ben in evidenza ed è fiancheggiata da quattro cappelle voltate a botte e di diversa profondità; la seconda cappella di destra, attraverso un piccolo valico, continua in un vano secondario di forma irregolare (probabilmente l'alloggio del guardiano della chiesa).
L'abside e la prima cappella a sinistra sono fornite di altare, sopraelevato rispetto al piano della cripta e formato da un semplice dado di roccia aderente alla parete; due sedili di pietra corrono lungo tutto il lato perimetrale delle due cappelle più lontane dall'ingresso.

La decorazione parietale, realizzata - caso quasi unico nella zona – stendendo una base preparatoria di intonaco ed eseguita in fasi e da mani diverse, abbraccia un'arco temporale compreso tra gli ultimi decenni del XIII secolo e la prima metà del secolo successivo. Orientativamente si può osservare nella realizzazione degli affreschi la persistenza di stilemi bizantini di carattere ripetitivo (P.Vivarelli) accanto all'introduzione di elementi innovativi sviluppatisi localmente nella trasposizione delle formule bizantine o sotto l'influsso della pittura romanica e gotica.

Gli affreschi ricoprono tutte le pareti, tranne le cappelle vicine alla zona absidale, e presentano i seguenti soggetti:

Prima cappella laterale sinistra
1. S. Michele Arcangelo.
2. Madonna in trono con Bambino.
3. S. Giovanni Evangelista.
4. S. Margherita.
5. S. Michele Arcangelo.
6. S. Giovanni Battista.
7. Cristo in trono.
8. Contrasto dei vivi e dei morti.

In questa cappella la disposizione dei soggetti non segue il rigido programma iconografico bizantino: il Cristo in trono è posto infatti su una parete laterale, mentre al di sopra dell'altare è collocata la figura dell'Arcangelo Michele, ripresa anche in una raffigurazione della parete di sinistra.

Cristo in trono
 
Le due figure di S. Michele sono iconograficamente simili: sotto il manto rosso mostrano la cintura e la stola gemmata degli angeli bizantini; nella sinistra reggono il globo crucifero, nella destra una lancia che attraversa trasversalmente tutto il corpo fino ad un serpente posto ai loro piedi. I volti, incorniciati dai capelli biondi disposti ordinatamente in due bande che scendono sul collo, sono lunghi con grandi occhi rotondi e menischi accentuati.
 
S.Michele arcangelo, fancheggiato da S.Giovanni Battista, a ds., e da S.Margherita, a sn. 
 
Il contrasto dei vivi e dei morti.
Nella parete destra della cappella, immediatamente visibile dall'ingresso è rappresentato il tema dell'Incontro dei tre morti e dei tre vivi – che avrà ampia diffusione nell'iconografia medievale – di origine orientale (1) compare in Occidente nel Dict des trois morts er des trois vifs di Baudouin de Condé (1275): tre giovani cavalieri, nel corso di una cavalcata, incontrano tre morti "viventi", che li ammoniscono dicendo: «Ciò che sarete voi, noi siamo adesso. Chi si scorda di noi, scorda se stesso».
Al di là del tema trattato, anche la brusca maniera con cui la scena s'inserisce nella stesura delle raffigurazioni contigue fa propendere per una datazione più tarda rispetto agli altri affreschi della cappella.
 
 
Raffaele Capaldo ha avanzato l'ipotesi che nel gruppo dei vivi - formato da un uomo maturo, paludato di porpora e d’ermellino (e recante sul braccio uno sparviero dalle tipiche iridi chiare), da una bellissima dama, bionda e con gli occhi cerulei, ed un fanciullo, biondo anch’esso – sia ritratta la famiglia imperiale sveva (Federico II, la sua terza moglie Isabella d'Inghilterra ed il figlio Corrado IV avuto dalla precedente consorte Jolanda di Brienne).
All'obiezione che l'ipotetico Federico II non indossa il paludamento imperiale, Capaldo risponde che la figura dell'imperatore doveva essere immediatamente riconosciuta dai frequentatori dell'umile chiesetta, popolani e contadini che erano abituati a vederlo in tenuta venatoria, durante le sue cacce nelle campagne e non certo con indosso le insegne del potere imperiale. Nel mantello di porpora bordato d'ermellino si può inoltre comunque ravvisare un accessorio regale.
Un altro elemento che concorre a sostenere l'identificazione sarebbero i gigli (2) ed il fiore ad otto petali presenti sulle borse di tutti e tre i personaggi, i primi facilmente collegabili all'araldica degli Hohenstaufen e l'altro particolarmente amato dall'imperatore tanto da essere ricamato sul bordo della tunica con cui venne seppellito.
 
particolare della tunica mortuaria di Federico II
 
L'ipotetico Federico II raffigurato nella chiesa a confronto con una rappresentazione dell'imperatore contenuta nell'edizione miniata della Chronica regia coloniensis, 1240 c.ca, conservata presso la Biblioteca reale di Bruxelles.
 
Sulla base di questa contestualizzazione, Capaldo ipotizza anche una possibile datazione dell'affresco compresa tra il 1235 (matrimonio tra Federico II e Isabella d'Inghilterra) ed il 1241 (data di morte di Isabella).

Prima cappella laterale destra
9. Martirio di S. Andrea (parte destra della volta). Il santo, con una grande barba irsuta sproporzionata alle dimensioni del corpo, è legato al tronco di un albero a forcella (3) da due carnefici posti lateralmente, di una mobilità nei gesti (posizione a tre quarti del corpo) e nei particolari descrittivi (gambe arcuate, cappuccio a punta) che contrasta con la durezza legnosa del martire.
 
 
10. Un volto nimbato ed una testina non identifìcabili (immediatamente sotto l'episodio di S. Andrea).
11. Nel registro inferiore della parete di fondo: una piccola testa femminile con manto e nimbo (a destra) e S. Benedetto (al centro), oggi illeggibile tranne parte del cappuccio, un occhio e il nimbo (il Guarini potè ancora leggere la scritta lacunosa "S. Ben(ed)ic/tus” oggi scomparsa.
12. Martirio di S. Stefano (nella lunetta superiore). Al centro la figura del santo, a destra due carnefici raffigurati in maniera grottesca e a sinistra due personaggi di incerta identificazione. Il primo potrebbe essere S.Paolo che assistette a questo martirio prima di convertirsi. Tutti scagliano pietre contro il protomartire.
 
13. Una santa coronata anonima (nella parte sinistra della volta a botte).
14. Frammento di una scena di battaglia con parti di lance ed altre armi come le alabarde in uso nel Trecento (immediatamente sotto la santa anonima).
15. Martirio di S. Lorenzo. Il santo è disteso sulla graticola mentre il fuoco, alimentato da due carnefici di cui s'intravedono le teste iincappucciate, inizia ad avvolgerne il corpo. Un terzo carnefice gli preme sul petto un bastone di ferro mentre in alto un angelo con un aspersorio cerca di lenire le sofferenze del santo. Sulla destra un funzionario indica all'imperatore Valeriano il martirio dl santo. In alto ed al centro del riquadro la dextera dei in atto benedicente esce da una manica di festoni concentrici.
 
 
16. S. Lucia e S. Caterina.
 
Zona absidale
17. Sull'archivolto absidale: cinque medaglioni (in quello centrale Cristo Pantocratore, negli altri i simboli dei quattro Evangelisti); S. Nicola (in basso a destra).
18. Nell'intradosso dell'arcone absidale: S. Basilio e S. Vito (nei due pennacchi, rispettivamente a destra e a sinistra); S. Guglielmo e S. Elisabetta (al centro dell'intradosso).
S.Basilio
 
S.Basilio, in abito episcopale, con la mitra bassa gemmata, il pallium con tre croci e il pastorale che attraversa trasversalmente il corpo, appare identico a quello raffigurato nella cripta di S. Vito vecchio a Gravina: contrariamente alle rappresentazioni osservate in altre cripte ed alla immagine più comune del Santo, questo ci appare canuto e senza la tipica barba appuntita sia a Melfì che a Gravina.
Il Weitzmann confronta l'affresco di Gravina con la produzione di un pittore individuato come « the Master of the Knights Templars » e giunge ad identificare questo Maestro come di origine italiana meridionale e a datare la sua opera intorno al 1280.
 
S.Nicola
 
Nel vicino S. Nicola compaiono altri elementi che sono caratteristici delle icone crociate del Regno di Gerusalemme. Il santo è inscritto in una edicola dipinta, formata da una arcata decorata a palmette e retta da colonnine esili e capitelli ornati ed il manto del santo è cosparso di quella decorazione a puntini disposti a grappolo, che è quasi una sigla del Maestro dell'Ordine dei Templari.
19. Due sante, quella a destra (probabilmente S.Cordula) con la palma di martire nella mano, quella a sinistra con una lunga croce con bandiera crociata (S. Orsola).
20. S. Paolo.
21. S. Margherita di Antiochia (S.Marina). La santa titolare della chiesa è raffigurata al centro dell'abside riccamente vestita e con una corona tricuspidale con in mano una croce a doppia traversa. Otto scene che ne illustrano il martirio sono disposte in due fasce laterali che la fiancheggiano. Nonostante il grave deterioramento della pittura, è stato possibile identificare i passi narrati della vita della santa: l'incontro con il prefetto Olibrio, mentre Margherita custodisce le sue pecore; la santa condotta dinanzi al prefetto viene interrogata; imprigionata, è tentata da un demonio in forma di drago gigantesco; sempre nel carcere le appare un altro diavolo; legata ad una colonna, il suo corpo è bruciato da tizzoni ardenti; è dilaniata da unghie di ferro; è immersa in una caldaia di olio bollente; è decapitata mentre la sua anima sale al cielo.
 
Sotto il profilo iconografico va rilevato che – mentre le scene dei primi sette riquadri sono riportate dalla Legenda aurea - in nessuna fonte agiografica si trova traccia dell'episodio raffigurato nell'ultimo, in cui la santa trasportata in cielo appare nell'atteggiamento di una figura seduta con la destra benedicente e la sinistra che regge una croce mentre gli angeli che la trasportano hanno le braccia coperte da bende in segno di rispetto alla maniera greca.
22. S. Pietro.
23. Nella volta a botte della cappella absidale: Cristo Pantocratore con due angeli.

 
Note:

(1) L'origine del tema va rintracciata in un'area culturale buddistico-persiano-islamica. La sua diffusione in Italia fu mediata ο dai francescani, che avevano un loro centro a Pechino, o dai rapporti tra la corte di Federico II e il mondo culturale arabo, anche con il movimento ascetico musulmano sufita, in cui confluirono specifici elementi buddisti.
(2) I gigli compaiono anche sullo stemma angioino, alla cui epoca – successivamente al loro avvento al potere nel 1266 dopo la battaglia di Benevento – altri autori riferiscono l'affresco.
(3) La crocefissione del santo ad un albero a forcella anzichè alla caratteristica croce ad X che porta il suo nome è piuttosto anomala in ambito italiano mentre si ritrova più frequentemente in alcune miniature tedesche del XIII secolo.





 
 
 
 




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