giovedì 4 aprile 2013

Giovanni di Brienne

Giovanni di Brienne
Armi di Giovanni di Brienne 
in una miniatura della Historia Anglorum di Matthew Paris, XIII sec.


Figlio secondogenito di Erardo II, conte di Brienne, Giovanni nacque intorno al 1158 ed era destinato ad essere avviato alla carriera ecclesiastica ma preferì farsi cavaliere.
Quando nel 1208 Maria di Monferrato, regina di Gerusalemme, figlia di Isabella I di Gerusalemme e di Corrado del Monferrato, compì diciassette anni, giungendo, così, in età da marito, un'ambasceria guidata da Florent, vescovo di Acri, e da Aimaro, signore di Cesarea, si recò presso la corte di Francia per chiedere consiglio al re, Filippo Augusto, sul possibile candidato.
La scelta, approvata da papa Innocenzo III, cadde sull'allora sessantenne e squattrinato Giovanni di Brienne a cui il sovrano e il pontefice costituirono una dote di 4.000 marchi d'argento.
Giovanni di Brienne sbarcò ad Acri il 13 settembre ed il giorno successivo il patriarca Alberto lo unì in matrimonio a Maria. Il 3 ottobre la coppia fu incoronata nella cattedrale di Tiro.
Nel 1212, dopo aver dato alla luce la figlia Jolanda, la giovane regina morì di febbre puerperale e Giovanni mantenne il potere nelle vesti di reggente per conto della figlia.
Nel 1214 sposò Etiennette, figlia di Leone II d'Armenia, che lo lasciò nuovamente vedovo nel 1219.

La Quinta Crociata

Nell'ottobre del 1217 si tenne ad Acri il consiglio di guerra con i comandanti crociati appena giunti in Terrasanta in risposta all'indizione di una nuova crociata fatta da papa Innocenzo III nel 1213 con la bolla Quia Maior e ratificata dal IV Concilio lateranense (1215). Oltre a Giovanni di Brienne vi parteciparono i i re Andrea II di Ungheria e Ugo I di Cipro e il duca d’Austria Leopoldo VI di Babenberg nonché i Gran Maestri dei tre Ordini militari e venne stabilito che il primo obiettivo della crociata sarebbe stato la città di Damietta sul delta del Nilo.
Tuttavia, tra defezioni e nuovi arrivi, i primi contingenti crociati sbarcarono nei pressi di Damietta soltanto nel maggio del 1218.
Il 24 agosto il duca Leopoldo VI guidò l'assalto decisivo alla torre sul Nilo che presidiava l'unico canale navigabile. Presa la torre, la catena che sbarrava il canale fu tagliata e le navi crociate poterono risalire il fiume fin sotto le mura della città.

Cornelis Claesz Van Wieringen, La cattura di Damietta, 1625
 Frans Hals museum, Haarlem

Intimoriti dalle fortificazioni e indeboliti dalla defezione dei contingenti frisoni i crociati non approfittarono dello scompiglio seminato tra le file nemiche dalla morte del sultano Safedino (il fratello del Saladino morì il 31 agosto) e preferirono attendere i rinforzi.
A metà settembre giunse a Damietta il legato pontificio cardinale Pelagio Galvani al comando della spedizione papale e subito pretese il comando di tutto l'esercito a scapito di Giovanni di Brienne.
Nel mese di ottobre il sultano del Cairo al-Malik al-Kamil lanciò due attacchi contro il campo cristiano che furono respinti grazie all'energia di Giovanni.

Dopo diversi scontri, al-Malik al-Kamil concentrò le forze a difesa delle sue posizioni (e quindi a proteggere Damietta) più che proseguire nel tentativo di ricacciare l'esercito crociato.
Costruì barricate e opere di difesa e affondò anche alcune delle sue navi per impedire a quelle cristiane di risalire il Nilo e avvicinarsi alla città.
I Crociati avevano il loro campo sulla riva occidentale del fiume e non potevano assediare la città dalla parte di terra se non attraversandolo, ma questo era arduo e pericoloso, visto che il Sultano del Cairo aveva posto il suo campo ad al-Adiliya sulla riva opposta del fiume.

A novembre era chiaro che i Crociati non sarebbero stati in grado di farsi strada attraverso il Nilo; quindi cercarono di riaprire un canale che era stato abbandonato da tempo. Il loro piano era quello di navigare fino ad un punto ben al di sopra di Damietta e quindi attaccare la città da due lati.
Riuscirono a dragare il canale, quando improvvisamente furono colti da una violenta tempesta che allagò il loro campo.
All'alba del 5 febbraio 1219 il campo crociato fu raggiunto dalla notizia che il sultano con tutto l'esercito aveva abbandonato il campo nella necessità di fronteggiare un sommovimento interno. Il cardinale Pelagio diede quindi l'ordine di avanzare e impadronirsi del campo egiziano di al-Adiliya che fu preso respingendo una sortita della guarnigione della città. Damietta era adesso completamente isolata.

Il giorno della Domenica delle Palme, l'esercito egiziano attaccò i campi crociati ma fu ricacciato con gravi perdite.
Verso la fine di agosto S.Francesco d'Assisi raggiunse l'esercito crociato e chiese al cardinale Pelagio il permesso di recarsi dal sultano per una missione di pace insieme a Fra Illuminato. Nell'intento di convertire il sultano alla religione cristiana Francesco propose di sottoporsi ad un'ordalia con il fuoco - quest'ultima circostanza è però riportata solo da San Bonaventura (Legenda maior, IX, 1265) - ma il sultano rifiutò e dopo averlo ascoltato lo rimandò al campo cristiano con una scorta d'onore.

Giotto, San Francesco davanti al Sultano, 1325 c.ca 
Cappella Bardi, Basilica di S.Croce, Firenze

Verso la fine di ottobre al-Kamil, stimando difficile difendere ulteriormente Damietta, avanzò una proposta di pace molto vantaggiosa: offrì Gerusalemme, la restituzione della Vera Croce sottratta ai cristiani nella battaglia di Hattin, tutta la Palestina centrale e la Galilea, conservando soltanto le fortezze d'Oltregiordano per le quali avrebbe comunque pagato un tributo annuo, in cambio della ritirata dell'esercito crociato da Damietta.
Giovanni di Brienne e i baroni crociati d'Occidente erano favorevoli ad accettare queste condizioni. L'assedio si protraeva infatti infruttuosamente da diciassette mesi e le defezioni nel campo cristiano, solo parzialmente compensate dai nuovi arrivi, erano continue, senza contare che, accettando, avrebbero ottenuto la liberazione dei luoghi santi. Il cardinale Pelagio, sostenuto dai tre Ordini militari che stimavano Gerusalemme indifendibile senza le fortezze d'Oltregiordano, riuscì però ad imporre il rifiuto della proposta di pace.

La notte del 5 novembre, il cardinale ordinò l'attacco generale. Diluviava con fitti tuoni e lampi, nessun rumore si udiva né sopra le mura, né dentro la città, i crociati scalarono il muro esterno e poi quello interno senza quasi incontrare resistenza, due porte furono aperte e la città fu presa.
La fame e le epidemie avevano lavorato per l'armata cristiana: degli originari 70.000 abitanti i crociati non ne trovarono in vita che 3.000 affamati e moribondi.

Henri Delaborde, La presa di Damietta, 1839
 castello di Versailles, Sala delle Crociate

Re Giovanni, sostenuto dai baroni e dagli Ordini militari, pretese che la città venisse annessa al Regno di Gerusalemme ed il cardinale Pelagio, che intendeva reclamarla per la Chiesa, fu costretto a cedere.
Nello stesso mese i crociati presero e saccheggiarono, trovandola sguarnita, anche la città di Tanis, all'estremità orientale del lago Manzaleh.

Denaro fatto coniare da Giovanni di Brienne durante l'occupazione di Damietta.
Al recto la testa coronata del re circondata dalla scritta Johannes rex, al verso la croce con la scritta Damieta.

Nel febbraio del 1220 Giovanni di Brienne, a seguito dei continui contrasti con il cardinale, lasciò Damietta e si ritirò ad Acri con le sue truppe ed il cardinale rimase da solo alla guida dell'esercito.
Nella primavera del 1221 l'arrivo di Federico II alla testa di un grande esercito sembrava imminente ed arrivò, inviato dall'imperatore, Ludovico di Baviera alla testa di un forte contingente di crociati tedeschi. Pelagio rifiutò una rinnovata proposta di pace del sultano e riuscì a convincere i comandanti crociati a muovere verso il Cairo, questi posero come unica condizione che re Giovanni fosse richiamato al comando della spedizione.
Il 6 luglio Giovanni raggiunse Damietta con i suoi cavalieri ed il 12 l'esercito crociato mosse verso sud.
Il 20 fu presa Sharimshah dove Giovanni intendeva fermarsi: era prossima infatti l'epoca dell'esondazione del Nilo e l'esercito damasceno si stava avvicinando.


Pelagio insistette per una ulteriore avanzata ed il 24 luglio l'esercito si schierò lungo il canale al-Bahr -al-Saghir, adesso inondato dalla piena del Nilo e facile da difendere, di fronte all'esercito egiziano trincerato ad al-Mansurah. Le navi egiziane discesero il Nilo e trasportarono parte delle truppe alle spalle dei crociati tagliando la ritirata verso Damietta.
A metà agosto il cardinale si rese conto che l'esercito crociato era circondato da forze superiori ed a corto di viveri e diede l'ordine di ritirarsi.
La notte del 26 iniziò la ritirata ma il sultano diede ordine di aprire le chiuse del Nilo che inondò le terre basse che i crociati dovevano attraversare rendendone difficoltosa la marcia e pressochè inutilizzabile la cavalleria pesante che era la loro arma migliore. Nel frattempo il sultano lanciò all'assalto la cavalleria leggera turca e la fanteria nubica che furono respinti da Giovanni a prezzo di gravi perdite.
Il 28 agosto, il cardinale, che era stato trasportato dalla piena del Nilo sulla sua nave oltre le linee nemiche, inviò al sultano dei messaggeri di pace offrendo Damietta in cambio della possibilità di ritirarsi verso la Palestina.
Contro il parere dei suoi comandanti, il sultano accettò la proposta e l'8 settembre 1221 fece il suo ingresso in Damietta. La quinta crociata si era conclusa senza alcun esito.
***

Per spingere ulteriormente l'imperatore Federico II verso la Crociata e per costringerlo ad andarvi personalmente, papa Onorio III gli offrì la corona del regno di Gerusalemme se avesse preso in moglie Jolanda, figlia di Maria di Gerusalemme e Giovanni di Brienne e legittima erede al trono.
I Gran Maestri dei tre Ordini militari, soprattutto Ermanno di Salza, GM dell'Ordine teutonico, il Patriarca di Gerusalemme, Rodolfo di Mérencourt, ed il re Giovanni di Brienne, che si trovavano in Italia, e più precisamente in Campania, per trattare gli aiuti al Regno di Gerusalemme, erano molto favorevoli a questo matrimonio, immaginando di poter ottenere in questo modo l’aiuto e la protezione del più potente monarca dell’Occidente.
Federico II accettò il matrimonio e di conseguenza il regno di Gerusalemme e promise di difenderlo ma chiese al papa di rinviare ancora di due anni la partenza per la Terrasanta, giustificandosi con le grandi difficoltà che aveva nel radunare l’esercito dei Crociati e con la necessità di aspettare che la tregua conclusa con i musulmani si fosse estinta, prima di ricominciare la guerra.

Nell’agosto del 1225 quattordici navi imperiali raggiunsero San Giovanni d’Acri; queste accompagnavano Giacomo, allora ancora vescovo di Patti, che celebrò immediatamente il matrimonio per procura dell’Imperatore Federico II con Jolanda di Brienne.
Le navi imperiali ripartirono quindi verso Brindisi, accompagnando Jolanda, suo padre Giovanni di Brienne e diversi membri della famiglia reale. Le navi giunsero a Brindisi il 9 novembre 1225 dove, con la benedizione del clero e l’acclamazione del popolo, nello stesso giorno venne celebrato ufficialmente il matrimonio nella cattedrale.
Il giorno successivo, Federico II privò Giovanni di Brienne della reggenza del Regno di Gerusalemme, nonostante le promesse fattegli con le quali gli aveva dichiarato che lo avrebbe lasciato regnare fino alla sua morte.

Il papa affidò allora a Giovanni, come parziale compensazione, l'amministrazione dei beni papali in Toscana e nel 1227, sotto il pontificato di Gregorio IX, ebbe il comando della spedizione papale contro le Puglie governate dall'ex suocero.

Nel 1228 I baroni latini di Costantinopoli avevano bisogno di un reggente per il giovane re Baldovino II di Courtenay, salito al trono appena undicenne. La scelta cadde su Giovanni di Brienne.
Nel 1234 Baldovino sposò Maria di Brienne, figlia di Giovanni e della sua terza moglie Berenguela di Leon (1), rafforzando la posizione di Giovanni.
Nel 1236, nonostante l'età avanzata, prese il comando delle esigue forze che difendevano la città e riuscì a respingere l'attacco congiunto dei bulgari dello zar Ivan Asen e dei niceni di Giovanni III Dukas Vatatzes.

Giovanni di Brienne morì il 27 marzo del 1237 mentre Baldovino II si trovava in Europa alla ricerca di fondi e uomini per puntellare il traballante impero latino. Si dice che Giovanni, poco prima di morire, ricevette a Costantinopoli da Fra Benedetto d'Arezzo, il Ministro provinciale francescano per la Terrasanta e l'Oriente, gli abiti di terziario dell'ordine.

(1) Giovanni aveva sposato in terze nozze Berenguela di Leon, figlia di Alfonso IX di Leon e Berenguela I di Castiglia, nel 1224 a Toledo, nel corso del suo pellegrinaggio a Santiago di Compostela.


Il monumento funebre della Basilica inferiore di Assisi

 
La tomba è contornata agli angoli laterali del basamento, sporgente di circa mezzo metro e quasi ad altezza d'uomo, da otto piccole figure a tutto tondo, inequivocabili immagini di apostoli scolpite nel marmo (due sono andate purtroppo perdute, ma è del tutto certa la loro originaria presenza).
Molto probabilmente il monumento funebre è stato spostato nel corso del tempo e la sua conformazione attuale risulta dal riassemblaggio dei materiali originari. Originariamente doveva trovarsi infatti qualche metro a lato dell'attuale, sotto un grande arcone ogivale addossato alla parete della chiesa.
E' attribuito a Ramo di Paganello (scultore senese del XIII-XIV secolo) e/o Rubeus e databile al periodo in cui il primo era capomastro dell'opera del Duomo di Orvieto (1302-1310) ed il secondo risulta essere stato alle sue dipendenze.

Al centro del monumento due angeli tirano i capi (o forse accostano) di una leggerissima tenda dietro a cui è disteso il corpo del defunto, la cui lunga veste è stata tuttavia inspiegabilmente riscalpellinata in malo modo, scoprendo i piedi già di per sé molto evidenti.
Una figura guantata, che non sembra né uomo né donna, forse proprio un angelo col suo sorriso giovanile e quasi beffardo, ma non irriverente, siede in una singolare ed allusiva positura, con una gamba accavallata sopra all'altra, accoccolato sopra un grosso leone ruggente. Questo singolarissimo ed indecifrabile angelo occupa il secondo ripiano, immediatamente sovrapposto al baldacchino funebre, con accanto, più incassata nell'ombra, una madonna col bambino ritto in piedi, e, tra le due bellissime sculture, un sepolcro rettangolare in pietra rosso scura, ben sagomato nella sua spazialità concreta e riposto nell'ombra più fitta.
Le armi scolpite alla base del monumento sono state identificate con quelle di Filippo di Courtenay, figlio dell'imperatore latino di Costantinopoli Baldovino II di Courtenay e di Maria di Brienne, che fu imperatore titolare di Costantinopoli (1273-1283) e morì a Viterbo nel 1283.

Il monumento compare per la prima volta nelle fonti scritte nel 1418 dove è citato come tomba dell'imperatore di Costantinopoli. L'imperatore di Costantinopoli è spesso identificato in Giovanni di Brienne che probabilmente conobbe San Francesco a Damietta (1219-1220) nel corso della Quinta Crociata e presenziò alla sua canonizzazione ad Assisi nel 1228. Nella sua De Conformitate Vitae Beati Francisci ad Vitam Domini Iesu (1325 c.ca), Fra Bartolomeo da Pisa riporta inoltre che Giovanni, poco prima di morire (1237), si fece terziario francescano e fu sepolto ad Assisi. Dopo la caduta dell'impero latino di Costantinopoli (1261), la figlia Maria, che riparò insieme al marito presso la corte angioina di Napoli, potrebbe aver portato con sé le spoglie del padre o parte di esse.

Statua funeraria attribuita a Maria di Brienne, XIII secolo
 Basilica di S.Denis, Parigi








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